LA DIVISIONE DELLA CASA CONIUGALE: LE SEZIONI UNITE DIRIMONO IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE SUL VALORE DA ATTRIBUIRE ALLA QUOTA – dell’Avv. Mara Scarsi

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1)    Il contrasto giurisprudenziale prima dell’intervento delle Sezioni Unite:Quale valore va attribuito alla quota di immobile in comproprietà tra due coniugi che è stato assegnato con la sentenza di separazione ad uno dei genitori occupante dello stesso con la prole? Il valore commerciale o il valore del bene tenuto conto della diminuzione determinata dall’occupazione da parte del coniuge con i figli minori?Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono recentemente intervenute sull’argomento con sentenza 09.06.2022 n.18641 dirimendo il contrasto giurisprudenziale esistente. La Suprema Corte ha così disposto: Deve essere condiviso l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale.Non sono mancate pronunce in senso difforme che hanno appunto dato luogo al contrasto giurisprudenziale.L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato, sicché nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi. Cass.Civ.22.04.2016 n.8202 (conforme Cass.Civ. 15.10.2004 n.20319).2)    Il caso esaminato dalla Suprema Corte:Un coniuge conveniva in giudizio l’altro per lo scioglimento della comunione legale avente ad oggetto la casa coniugale. Si costituiva il coniuge convenuto, opponendosi, e facendo valere il suo diritto di abitazione unitamente alla prole. La convenuta in via subordinata chiedeva che si procedesse alla divisione del bene previo accertamento del suo valore che tenesse conto dell’assegnazione in suo favore del bene a titolo di casa coniugale. Il Tribunale [1] disponeva lo scioglimento della comunione e determinava il valore del conguaglio dovuto dal coniuge convenuto all’attore in seguito ad espletamento di C.T.U. Avverso la sentenza di primo grado veniva proposto appello con cui veniva chiesto anche il rinnovo della C.T.U.al fine di sentir accertato il valore del deprezzamento dell’immobile per effetto dell’assegnazione della casa coniugale all’appellante in misura inferiore a quanto ritenuto dal c.t.u. L’appellato si costituiva proponendo appello incidentale.  La Corte D’Appello [2] rigettava l’impugnazione e dichiarava assorbito l’appello incidentale. La Corte confermava la valutazione effettuata dal C.T.U. e riteneva condivisibile la sentenza impugnata anche in relazione alla mancata considerazione del diritto di assegnazione della casa coniugale ai fini dell’ottenimento di una congrua decurtazione del conguaglio stabilito come dovuto in favore del coniuge cedente.

I Giudici di appello ritenevano corretta la sentenza nella parte in cui si era sottolineato che il provvedimento di assegnazione come casa coniugale dell’immobile oggetto di divisione giudiziale – all’esito della quale il coniuge assegnatario aveva conseguito l’intera proprietà dell’immobile – non potesse sortire alcuna incidenza sulla determinazione del valore effettivo dello stesso immobile, in quanto tale provvedimento avrebbe potuto avere rilevanza solo nel caso di vendita a terzi che sarebbero potuti rimanere pregiudicati dall’opponibilità del medesimo provvedimento trascritto in favore del coniuge assegnatario.

Ad avviso della Corte, la decurtazione del valore avrebbe indebitamente arricchito il coniuge assegnatario che avrebbe beneficiato di una decurtazione di valore per poi, in futuro, beneficiare dell’effettivo valore di mercato in caso di vendita a terzi del bene.

La questione veniva sottoposta alla Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria 28871/2021, la quale ravvisando contrasto giurisprudenziale ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite.

3)    La decisione delle Sezioni Unite:

Le Sezioni Unite hanno dato atto dell’esistenza del contrasto giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento, il provvedimento di assegnazione della casa familiare non verrebbe ad incidere sul valore di mercato del cespite allorché l’immobile, in sede di divisione, venga attribuito in proprietà al coniuge affidatario della prole, atteso che la finalità perseguita con l’attribuzione di questo diritto atipico di godimento è esclusivamente la tutela dei figli minori o, comunque, non autosufficienti, rispetto alla conservazione del loro habitat familiare. Diversamente si realizzerebbe una locupletazione in favore del coniuge assegnatario e acquirente della quota in caso di vendita futura a terzi

Secondo l’opposto orientamento, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo oggettivo determinante una decurtazione del valore della proprietà, sia totalitaria che parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane condizionato come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento di assegnazione non sia eventualmente modificato.

Nel giudizio di divisione occorre quindi tener conto dell’incidenza dell’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro, ovvero venduto a terzi considerato che anche l’assegnatario subisce la diminuzione patrimoniale del valore del cespite.

Le Sezioni Unite, dirimendo il contrasto esistente, hanno analizzato la ratio sottostante l’assegnazione della casa coniugale che trova il suo fondamento nell’articolo 337 sexies c.c., che detta, al comma 1, per la fase di separazione, i principi cardine dell’assegnazione: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643″.

Nel divorzio la disciplina legislativa è rappresentata dalla legge 898/70 il cui art. 6, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11, sancisce che: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”

La ratio dell’assegnazione risiede pertanto nell’interesse dei figli, minori o non economicamente autosufficienti che attraverso il provvedimento di assegnazione vedono tutelato il loro diritto di continuare ad abitare nel luogo ove hanno sviluppato le loro prime relazioni ed i loro affetti [3].

Trattasi di diritto di godimento sui generis destinato a venire meno in caso di allontanamento del coniuge assegnatario con la prole o di raggiungimento dell’indipendenza economica e maggiore età dei figli. Si tenga conto che non vi è alcun automatismo nell’assegnazione della casa coniugale che rappresenta un parametro per la determinazione dell’assegno di mantenimento per la prole. Vale peraltro per l’assegnazione, come per tutti i provvedimenti adottati in regime di separazione personale o divorzio, la regola della loro possibile modificabilità per fatti sopravvenuti.

Da ciò consegue che per quanto concerne lo scioglimento della comunione legale debbano valere i principi generali in tema di divisione secondo le regole sulla comunione in generale. La prima operazione da compiere (anche nel caso di vendita all’asta in ipotesi di non divisibilità e non assegnazione della quota del bene al comproprietario) è la valutazione del valore del bene che rappresenta il prezzo dello stesso in caso di vendita.

Le S.U. concludono pertanto nel senso che  deve essere condiviso l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poichè esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell’immobile attribuito in proprietà esclusiva all’altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell’immobile stesso continuino a vivere i figli minori o non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell’ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, con la eventuale modificazione in proposito dell’assegno di mantenimento.

Ad avviso della Suprema Corte è incontestabile la sussistenza di una completa autonomia tra l’istituto dell’assegnazione della casa coniugale e quello della divisione dell’immobile adibito a tale destinazione conseguente allo scioglimento della comunione legale.

[1] Sentenza Trib.Roma 10739/2017

[2] Corte Appello Roma 1969/2018 pubblicata il 27.03.2018

[3] Le S.U. richiamano al proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989, che dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 155 c.c., comma 4 (ora art. 337-sexies c.c.) nella parte in cui non prevede(va) la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità ai terzi, chiarì che il titolo ad abitare il cespite familiare è strumentale alla conservazione della comunità domestica nel solo interesse della prole (in tal senso Cass. SU n. 13603/2004; Cass. Sez. VI-1, n. 8580/2014; Cass. Sez. V, n. 25889/2015).

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