I Tribunali di Merito, in applicazione del dettato normativo che dispone l’obbligatorietà del tentativo di mediazione nelle materie elencate all’art. 5 D.Lgs. 28/2010 (il cui novero è stato esteso dalla c.d Riforma Cartabia), puniscono la mancata partecipazione alla procedura, allorquando la parte convocata giustifichi la propria assenza adducendo di non poter raggiungere un accordo, prima ancora di aver tentato la mediazione.
L’ultima pronuncia risale allo scorso mese di agosto; il Tribunale di Mantova, nella persona dell’Imm.mo Giudice Dott. Nicolò Pavoni, con sentenza n. 2254 del 14 agosto, ha condannato parte convenuta al pagamento delle spese (ex art. 8 co. 4 bis D.Lgs. 28/2010).
Al di là dell’aspetto punitivo della sanzione, già di per sè rilevante, il messaggio che ci giunge forte e chiaro anche dalla giurisprudenza è che la mediazione è una procedura obbligatoria, è la legge che la prevede e i Giudici non tollerano più scusanti di sorta.
La vertenza trattata dal Tribunale mantovano ha avuto ad oggetto il tema della responsabilità contrattuale nei rapporti bancari.
Il Magistrato ha accolto la domanda di condanna della convenuta al pagamento delle spese di favore dell’Erario di una somma pari al contributo unificato, ai sensi dell’art. 8 co 4 bis D.Lgs. 28/2010 “non avendo addotto parte convocata adeguate giustificazioni in ordine alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria”.
Il Tribunale di merito ha motivato la condanna ritenendo che fosse priva di rilevanza la valutazione prognostica della convenuta circa l’addotta inutilità della procedura, per l’impossibilità di raggiungere la conciliazione.
E’ proprio nelle contrapposte posizioni delle Parti che può operare la mediazione, offrendo ai confliggenti, in un contesto riservato, un tempo di dialogo e confronto in cui essere protagonisti, tanto che la loro presenza è obbligatoria agli incontri, accanto a quella altrettanto necessaria degli avvocati che dovranno assisterle – quali negoziatori – nella ricerca di un accordo soddisfacente.
Rammentiamo che il medesimo principio era già stato espresso dalla Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 652/2020.
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