Il dovere di riservatezza è uno dei presupposti essenziali del procedimento di mediazione, andando
altresì a costituire una vera e propria garanzia per le parti e un incentivo affinché le stesse si rendano
disponibili ad un confronto aperto e sincero.
La primarietà di tale principio è stata evidenziata anche a livello comunitario all’interno della stessa
Dir.2008/52/CE, il cui art.7 evidenzia come “la mediazione deve aver luogo in modo da rispettare la
riservatezza (…) a meno che le parti non decidano diversamente (…)”.
A livello nazionale, il riferimento è invece principalmente costituito dagli artt.9 e 10 del D.
Lgs.28/2010 e ss.mm..
In particolare, l’art.9, comma 1, del suddetto decreto a riferimento all’obbligo di riservatezza rispetto
alle dichiarazione rese e alle informazioni acquisite nel corso del procedimento, obbligo al quale
sono tenute tutte le persone che partecipino alla mediazione, siano esse mediatori o altri collaboratori
dell’organismo di mediazione o parti o avvocati o altri partecipanti quali i consulenti tecnici: a tal
riguardo, infatti, è bene evidenziare che in linea di principio la consulenza tecnica svolta in
mediazione è coperta da riservatezza, salvo che le parti pattuiscano espressamente che la relazione
sia producibile in giudizio in deroga a tale principio, come stabilito dall’art.8, comma 7, del
medesimo decreto.
A tale principio c.d. “di riservatezza esterna” va altresì affiancato il principio c.d. “di riservatezza
interna” di cui si trova traccia nel successivo art.9, comma 2, D. Lgs. 28/2010 e ss.mm., che si
riferisce alla riservatezza alla quale è tenuto il mediatore rispetto alle dichiarazioni rese e alle
informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate, ma anche in tal caso è da ritenersi ferma la
possibilità per le parti di consentire la deroga al principio, anche con riguardo a singole dichiarazioni,
autorizzando in tal modo il mediatore a utilizzarle nel corso della sessione congiunta.
La riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite di cui al suddetto art.9,
comma 1 e comma 2, è ulteriormente garantita dalle previsioni di cui all’art.10 del decreto, il quale
espressamente prevede come le stesse non possano essere utilizzate nel successivo giudizio avente
oggetto anche solo parzialmente uguale a quello del procedimento di mediazione. A corollario, la
stringente previsione che vieta la prova testimoniale e il giuramento decisorio rispetto alle suddette
dichiarazioni e informazioni, che, per quanto riguarda mediatori e avvocati, va ad affiancarsi al loro
obbligo di segreto professionale, opponibile a chiunque ai sensi degli artt.103 e 200 c.p.p. e la cui
violazione è punita quale reato ai sensi dell’art. 326 c.p..
Si deve, tuttavia, evidenziare come, secondo la giurisprudenza, le dichiarazioni e le informazioni
coperte da riservatezza siano solo quelle “sostanziali” e non anche di carattere “procedurale”,
attinenti, ad esempio, alla ritualità della partecipazione delle parti alla procedura e/o l’esistenza di un
eventuale giustificato motivo per la mancata partecipazione (cfr. Trib. Roma, Sent. 14.02.2015; Trib.
Roma, Sent. 25.01.2016).
In conclusione, emerge un quadro garantistico, volto, da un lato, a incentivare la partecipazione
attiva e propositiva delle parti al fine del successo della procedura e, dall’altro, in senso più ampio, a
coltivare una sempre maggiore fiducia verso l’istituto della mediazione.

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MEDIAZIONE DELEGATA PROPRIA E IMPROPRIA IN APPELLO – della dottoressa Giovanna Del Bene
Parte della dottrina distingue tra due tipi di mediazione delegata: propria e impropria. Mediazione Delegata Propria Il giudice può disporre la mediazione in qualsiasi fase